Malattia di Ménière

1. DEFINIZIONE

La malattia di Menière è una patologia idiopatica del labirinto membranoso dell’orecchio interno descritta per la prima volta da Prosper Menière all’Accademia Francese di Medicina, nel 1861. Il substrato anatomopatologico è l’idrope endolinfatica, cioè una dilatazione del labirinto membranoso (Fig. 1: MR Membrana di Reissner; *scala media).   Non è ancora chiaro cosa possa provocare l’idrope, anche se sono stati proposti possibili meccanismi virali, neurovascolari (simile all’emicrania) o autoimmuni. Ad oggi però nessun virus è stato isolato in pazienti con malattia di Menière, mentre l’etiologia vascolare sembra essere sostenuta da studi istologici in cui è stata descritta una riduzione di numero e di calibro dei vasi della stria vascolare. L’idrope endolinfatica, oltre che idiopatica, può essere secondaria a trauma acustico, otiti medie acute, labirintiti e deformità congenite dell’orecchio interno.

2. sintomatologia

La malattia è caratterizzata dalla presenza di 4 sintomi specifici:

• crisi vertiginosa
• ipoacusia neurosensoriale, inizialmente fluttuante
• acufeni
• senso di ovattamento, o fullness

La malattia insorge classicamente con una intensa crisi vertiginosa associata a fenomeni neurovegetativi (nausea, vomito, pallore, sudorazione fredda) che compare a qualsiasi ora, anche di notte ed è preceduta, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia, da una aura della durata da 15 fino a 60 minuti, durante la quale il paziente riferisce l’aumento o la comparsa dell’acufene, ipoacusia e ovattamento auricolare. La crisi vertiginosa dura da pochi minuti fino ad alcune ore, ma quasi mai supera le 24 ore; non c’è mai perdita di coscienza. In genere la prima crisi è riferita come quella più intensa ed è di tipo rotatorio.

Alla crisi vertiginosa si associano gli acufeni, riferiti come un rumore a conchiglia di mare, costanti o intermittenti, quasi mai pulsanti, che si presentano oppure si aggravano durante l’aura e la crisi vertiginosa.

L’ipoacusia è di tipo neurosensoriale anche se talvolta è presente una modesta componente trasmissiva. Rara, ma possibile, è la presentazione del danno cocleare sotto forma di ipoacusia improvvisa monolaterale.  Nelle prime fasi della malattia l’ipoacusia presenta una tipica fluttuazione di soglia, cioè si aggrava durante la crisi per poi migliorare spontaneamente alla fine, in genere in accordo con la scomparsa della fullness. Inizialmente l’ipoacusia coinvolge le frequenze gravi con risalita a 1 kHz (peak-audiogram, Fig.2) e poi con il passare degli anni diventa pantonale, perde la fluttuazione e si stabilizza tra 50 e 70 dB. La cofosi è eccezionale.
L’ipoacusia è associata ad un senso di pienezza auricolare molto caratteristico (fullness) e ad una sensazione di pressione che il paziente riferisce dall’interno della testa verso l’orecchio.

La malattia ha una evoluzione naturale parossistica ed imprevedibile. Nella maggior parte dei casi le crisi vertiginose tendono a ridursi ed a scomparire dopo 8-10 anni dall’insorgenza della malattia, mentre l’ipoacusia e gli acufeni permangono.

3. terapia medica

Il trattamento medico durante i periodi intercritici è limitato a diuretici a basso dosaggio, a regole igienico-dietetiche quali evitare o moderare l’uso di alcol, fumo e sale e a risolvere eventuali conflitti personali o professionali. Talvolta risulta utile associare una blanda terapia ansiolitica. Durante la crisi l’uso di diuretici osmotici (mannitolo o glicerolo), antiemetici e corticosteroidi è tuttora considerata la terapia di prima scelta, associata spesso a sedativi ad azione vestibulo-soppressiva (benzodiazepine, tietilperazina). Negli ultimi anni viene sempre più utilizzata la somministrazione intratimpanica di steroidi che permette di raggiungere concentrazioni di farmaco molto alti, in assenza di effetti collaterali e di controindicazioni.

 

Accanto alla terapie mediche conservative esiste quella cosiddetta ablativa, mediante la somministrazione intratimpanica di gentamicina. Si tratta di una vera e propria labirintectomia chimica in quanto si sfrutta la tossicità dell’antibiotico aminoglicosidico sulle cellule scure del vestibolo. E’ una metodica che risale agli inizi degli anni ’70 e si prefigge di eliminare la funzione vestibolare periferica del lato trattato. Il principale svantaggio di tale tecnica risiede nella sua potenziale cocleo-tossicità, con un rischio di comparsa di ipoacusia dal 13 al 35% dei pazienti trattati. Per ridurre al minimo il rischio di ipoacusia iatrogena, sono stati proposti diversi protocolli e quello più sicuro sembra essere la somministrazione intratimpanica di 26.7mg/cc di gentamicina, ripetuta ogni giorno fino alla comparsa di nistagmo spontaneo o provocato.

4. terapia chirurgica

Le terapie chirurgiche vengono riservate a pazienti refrattari alle terapie mediche oppure che hanno esigenze di una rapida risoluzione del sintomo vertiginoso e sono costituite da:

  • chirurgia del sacco endolinfatico
  • sezione del nervo vestibolare (neurectomia vestibolare).

La chirurgia del sacco endolinfatico si propone di aggredire la potenziale sede di ostruzione che causa l’idrope. Esistono 4 diversi tipi di tecniche:

  1. Decompressione: rimozione dell’osso che circonda il sacco.
  2. Shunt: posizionamento di un dispositivo sintetico che drena l’endolinfa in mastoide.
  3. Drenaggio: semplice incisione della parete del sacco che viene mantenuta pervia con un foglietto di materiale plastico.
  4. Rimozione del sacco.

La chirurgia del sacco endolinfatico rimane tuttora una scelta molto controversa. Uno studio in doppio cieco con placebo (Thomsen, 1981) ha dimostrato assenza di significative differenze tra un gruppo di 30 pazienti sottoposti a shunt endolinfatico-mastoideo e un gruppo analogo di pazienti sottoposti solo a mastoidectomia. Le potenziali complicanze di questa tecnica sono la liquorrea e la meningite.
La sezione del nervo vestibolare resta la procedura più efficace per il controllo delle crisi vertiginose e permette la conservazione dell’udito del paziente. L’approccio è di tipo neurochirurgico (fossa cranica media o retrolabirintico/retrosigmoideo) e questo rende tale scelta non sempre ben accettata dai pazienti menierici. Le complicanze includono potenziali danni al nervo facciale e cocleare, la liquorrea e la meningite (13% dei casi). Nei pazienti con curva audiometrica particolarmente compromessa si può effettuare una labirintectomia chirurgica attraverso un approccio mastoideo o transcanale.

Clicca qui per visualizzare un breve video sulla chirurgia del sacco endolinfatico.

Clicca qui per visualizzare un breve video sulla sezione del nervo vestibolare in un paziente con un conflitto neuro-vascolare.

ATTENZIONEsi tratta di immagini chirurgiche registrate in sala operatoria. Se ne sconsiglia la visione da parte di utenti impressionabili.